| Song 8: Getting to know you
Mi aspettavo, che ne so, una villa in stile hollywoodiano con giardino, piscina e cose inimmaginabili, uno stuolo di domestici e camerieri. Effettivamente era così ma tu non vivevi lì. O meglio era casa tua e dei tuoi genitori ma non vivevi nell’edificio principale. In fondo al giardino, seminascosta da alberi e roseti, c’era una struttura piccola ma accogliente.
Mi ha raccontato che i tuoi genitori avrebbero fatto qualsiasi cosa per te: comprarti un pony o un appartamento o la luna… ma tu avevi preferito costruirti uno spazio tutto per te da sola. Usando la tua bellezza avevi trovato un lavoro come modella e ragazza immagine tutti i fine settimana, per usare i tuoi soldi per comprarti il posto di cui avevi bisogno. Eri diventata sempre più famosa, più richiesta e avevi fatto aumentare la tua paga fino ad avere tutto il denaro necessario. Avevi fatto disegnare il progetto della tua dependance al migliore architetto che avevi trovato, lo avevi controllato e modificato in ogni centimetro. Con un interior designer molto famoso eri andata a scegliere personalmente i colori per le pareti, i materiale dei serramenti, tutto l’arredamento dal letto alla lampada della scrivania, dalla cucina ai lampadari. Pulivi e cucinavi tu, ed eri molto brava. E molto sola.
Mi hai detto tutto questo mentre passeggiavamo per il tuo giardino, tra laghetti artificiali e aiuole perfettamente curate dall’onnipresente giardiniere. Ci sono voluti cinque minuti buoni dal cancello della tua proprietà alla tua piccola e deliziosa dependance e tu nel frattempo mi hai raccontato un altro piccolo angolo della tua vita.
Il tuo piccolo nido era ancora più grazioso di come me lo avevi descritto: due piani, un piccolo giardino pensile sul tetto, un balcone al secondo piano e tante vetrate. Nello spazio antistante la casa c’era una delizioso gazebo con un tavolo da giardino e quattro sedie in ferro battuto dipinto di bianco. Un paio di scalini e poi c’era il portoncino. Appena dentro, sulla sinistra un salottino con un paio di divanetti per ricevere gli ospiti. Sulla destra il salotto vero e proprio, due grandi divani ricoperti di seta con tanti cuscini, la tv, un tavolino di cristallo con un mazzo di fiori di campo in un vaso di vetro variopinto. Più avanti, oltre una tenda, una cucina moderna e high-tech.
Al piano superiore c’era la tua camera, che aveva un’enorme vetrata con balcona che dava sul parco e poi il giardino pensile.
Ero in una specie di trance. Era tutto bello, splendente, luccicante. E tu non eri certo da meno. Anzi. Sembravi un fiore bellissimo una serra dorata. Mi stavi ancora tenendo la mano e , vedendomi un po’ persa, me l’hai stretta e mi hai detto:
“Ti piace?”
Mi hai guardata con i tuoi occhioni, interrogativa.
“Ssssi..sisi.si…scusami…è che qui è tutto…bello…”
Mi girava la testa.
“Beh, dovrei abituartici. Passerai molto tempo qui…con me.”
Il mio cuore si era quasi fermato nel sentire quella frase.
Non poteva essere vero. Era tutto troppo….troppo.
Sono arrossita di nuovo.
“Ma come, siamo ritornate alla fase in cui arrossisci per ogni cosa? Che tenera che sei…”
Ecco, ti sembravo sicuramente una perfetta idiota. Di nuovo. Ho cercato di darmi un contegno e di guardarti negli occhi, anche se mi era terribilmente difficile. Dio come sei bella.
“Mi sei mancata Hana-chan, sai..”
Ti ho abbracciata all’improvviso, sprofondando il viso nell’incavo della tua spalla per qualche secondo. Poi ho alzato la testa per guardarti di nuovo in viso e vedere la tua reazioni.
Il tuo sguardo ora si era fatto dolce.
“Anche tu Sayuri-chan, anche tu…”
Hai ricambiato il mio abbraccio e siamo state lì, in piedi, per un tempo che mi è sembrato un’ eternità.
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