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Freia e Lucia: un'altra storia d'amore

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Frenki931
CAT_IMG Posted on 5/5/2013, 08:28     +2   +1   -1




Ebbene si, dopo le storie su Straberry Panic! ho provato a farne una originale, che appartenesse solo alla mia immaginazione.
Ho intenzione di proporla per un concorso letterario, ho sempre voluto provarne uno e finalmente mi sono deciso XD ( questo è il link se vi interessa sapere quale ).
Probabilmente non sarà un gran che e non avrò fortuna, ma tentar non nuoce. La posto qui per farla leggere a chi vorrà e chissà, magari avere qualche buon suggerimento.


Freia e Lucia: un'altra storia d'amore




Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti bene o scritti male: nient’altro.

Il ritratto di Dorian Gray (Oscar Wilde)






I




Stava così: con le spalle al muro, chiusa in un angolo della propria stanza. Chiusa nell'arancio spento della divisa e gli occhi persi, disoccupati.

Aveva freddo, fame e sonno.

Non si muoveva, non un muscolo contraeva da ore, non un sospiro, una singola parola. Era sola nella propria cella. Era sola da tre miseri, lunghi mesi.

La sua mente ormai era ibernata, rinchiusa ermeticamente, a prova di fuga. Non un'emozione osava fuggire, non una scossa turbava il suo viso grigio, inespressivo, senza più colori.

Se la falce della morte non l’aveva ancora tagliata era sicuramente per timore. Timore dei suoi lunghi capelli corvini, dei suoi occhi nero scurissimo e soprattutto del suo cuore insanguinato. Un cuore forte, troppo forte.


<< Freia, da oggi avrai una compagna di cella >> tuonò improvvisamente la guardia oltre le sbarre, pareva divertita.

Aprì la porta cigolante e un’altra donna, alta meno del metro e settantotto di Freia bionda e non giovane quanto lei entrò fissandola.

Mosse poco la testa, giusto qualche secondo, per poi tornare al suo solito nulla.

Poco dopo la nuova arrivata ruppe il silenzio fatto di strepitii, cigolii e urla delle celle vicine.

<< Da quando gli sbirri chiamano per nome le detenute? >> sibilò prepotente.

Nei pochi metri a loro concessi si alzò dal letto, su cui si era buttata appena entrata, e si avvicinò a Freia.

<< Sei giovane, magari speri di uscire prima ingraziandoti quello lì >>

Freia puntò gli occhi nei suoi e li distolse nuovamente senza proferir parola.

Una sola cosa chiedevo a questa dannata prigione: di non avere attorno altra gente. Nemmeno questo mi rimane.

<< Senti un po’ puttanella - le premette il viso con una mano, forzandola a voltarsi - ti chiami Freia giusto? È meglio se mi porti rispetto e rispondi quando ti parlo. Per cosa ti hanno messo dentro eh? Prostituzione? Hai ricattato qualcuno ricco?

Io sono in questa merda per spaccio e per aver pestato un fottutissimo sbirro perciò >>

<< Omicidio >> aveva una voce bassa e profonda, tanto femminile quanto intesa.

Afferrò con forza il polso che le teneva il volto. La nuova detenuta mugugnò per il dolore.

<< Mi arrestarono a diciannove anni per omicidio. >>






II




<< Freia! Freia! >>

<< Non correre Lucia, sono qui. >>

<< Mi dispiace... mi dispiace tantissimo... >>

Gli occhioni castani la fissavano quasi lacrimavano.

<< Per cosa? >>

<< Ieri... hai compiuto diciotto anni no? Perché non hai detto nulla? >>

Freia sorrise. << Lo sai che non mi piacciono le feste. >>

<< Si ma diciotto anni si compiono una volta sola, dovrebbe essere un’occasione speciale... mi dispiace tanto... mi dispiace, non ti ho fatto nemmeno gli auguri né un regalo... >>

<< Basta scusarti, ho detto che non fa niente, non volevo nulla non preoccuparti. >>

<< A che ora finisci oggi? >>

<< Eh? >>

<< A che ora esci da scuola? >>

<< Alla mezza... >>

<< Aspettami qui allora. >>

Le scappava sempre da ridere quando la vedeva così determinata.

<< Va bene. >>

L’esile figura di Lucia la strinse indifferente alle altre sagome che passavano accanto, abbracciandola nel modo infantile e un po’irruento che la caratterizzava tutta.

<< A dopo >>

L’osservò trottare via con la gonna che le svolazzava allegra.

Lucia... sedici anni sulla carta ma non nel fisico. Aveva un volto roseo e lineare, senza uno spigolo o un’imperfezione, labbra sottili e pupille che attiravano su di loro tutta l’attenzione. Era bella agli occhi di Freia, una bellezza dolce che solo da bambini abbiamo, che appena un po’ più maturi tutti tendiamo a perdere. Tutti, tranne Lucia.

Si incamminò pure lei, indifferente al suo ritardo. La campanella era suonata da diverse decine di minuti ma manteneva ugualmente il suo passo calmo e cadenzato.

Nella scuola un po’cadente regnava già un surreale silenzio e silenziosa, entrò in aula.

<< Signorina Freia Fiera Fernandez >>

Odiava essere chiamata col nome completo, soprattutto odiava quel “Fernandez” dalla sfumatura spagnola. Non si era mai chiesta l’origine del termine né voleva saperla.

<< Sempre in ritardo, le è così difficile arrivare in orario? >>

<< Mi scusi, professore. >> era la sua quotidiana risposta, intonata in tono basso e senza emozioni.

<< La prossima volta non potrà entrare, lo tenga a mente. >>

Si sedette, era l’unica senza compagno di banco della classe. Erano ventuno e a lei non dispiaceva affatto essere “la dispari”.

Parlava poco e sorrideva meno, la vita le scorreva addosso senza sfiorarla. L’indifferenza era parte di lei, una parte che la comprendeva quasi interamente. Nulla e nessuno destava in lei un qualsivoglia interesse.

In quasi cinque anni di liceo non aveva stretto rapporti con nessuno, non che fosse un fantasma ma oltre lo stretto necessario non andava. C’era più di un ragazzo che sembrava interessato a lei, chissà, magari per il suo fisico abbastanza alto e armonioso, il volto dalle sfumature decise con un pizzico di felino, o per la sua lunga e fluente chioma nero notte ma a Freia più d’uno sguardo distratto non si poteva chiedere.

Era chiusa e misteriosa, non aveva la minima intenzione di conoscere o farsi conoscere. Tutti avevano capito che non era timidezza la sua, era lei, lei e nient’altro. Qualcuno la definì anche strana.

Ormai non sapeva nemmeno più se era nata così o se qualcosa l’aveva plasmata. Nella sua vita di traumi non c’è ne erano ancora stati, almeno non più della media.

Era figlia unica ed entrambi i genitori avevano lavori a tempo pieno, soprattutto la madre che raramente rincasava prima del tramonto. Non ha sofferto però di mancanza d’attenzioni o solitudine e sin da piccola il papà le ha dato qualcosa con cui passare il tempo libero: l’arco. Il padre lavorava in una scuola di tiro con l’arco, mestiere tanto particolare quanto impegnativo, e con piacere le aveva insegnato quello sport; unico punto di vero contatto, dato che come a scuola anche in famiglia Freia era abbastanza taciturna e riservata.

La ragazza si dimostrò presto un vero talento, a quattordici anni già poteva dirsi arciera provetta. Non ha mai voluto partecipare alle gare, ma dai quindici anni cominciò ogni giorno a fermarsi, dopo la scuola, in un campo vicino casa in cui primeggiava un solo albero; lì scoccava per ore e ore nel silenzio della natura. Ogni volta rincasava la sera sudata e con qualche taglio sul dito.

A chi le domandava il perché “ mi piace”  rispondeva “ mi piace la calma del posto, mi piace il mio arco e il rumore della freccia quando colpisce il vecchio salice.”

Trascorreva fra fili d’erba e solitudine gran parte dei suoi pomeriggi ed è in quel luogo che ha incontrato lei. L’unica ad aver colore ai suoi occhi, l’unica con cui il parlare non era una fatica irritante e inutile. Tutta la sua personalità aveva una sola eccezione: Lucia. L’aveva conosciuta dopo due mesi dall'inizio di quel suo quotidiano allenamento - anche se per Freia era più un gioco, come una partita di calcio o palla a volo.

Lucia abitava una delle due case vicino al campo d’erba dove scoccava, lei stessa le aveva raccontato che l’osservava spesso dalla finestra della sua camera e che un giorno, semplicemente, aveva deciso di conoscerla.


<< Ti sei fatta male! >>

<< eh? >>

<< Fammi vedere... >>

Ancor prima che potesse tirare la mano, una piccola Lucia, ragazzina dai boccoli biondo pallido che a stento le arrivava al petto, si era infilata il polpastrello graffiato del dito con cui tendeva l’arco tra le sottili labbra rosate.


Quella volta non solo non la sentì arrivare e non avvertì nessuno accanto a se, ma l’impulso di ritrarre il dito si inceppò a metà strada fra cervello e mano; a bloccarlo fu il viso e lo sguardo della piccola. In quell'istante qualcosa in lei scricchiolò, si ruppe e si abbandonò per la prima volta ad una nuova e strana dolcezza. Il volto chiaro e delicato, gli occhioni che erano e saranno sempre da bambina e perfino il tepore della sua bocca: tutto quella volta le parve  istantaneamente buono, soffice e accogliente come ovatta profumata, si innamorò a prima vista. Si, si innamorò a poco più di quindici anni di Lucia, della sua innocenza e tenerezza che carpì e in cui cadde sin da subito.

Nessuno l’aveva mai toccata come lei fino a quel piccolo gesto, alle sue parole dopo “va meglio adesso vero?” al suo sorriso; non aveva mai capito la dolcezza di un contatto o il calore di un’altra persona. Quella fanciulla banalmente, senza ragione o motivo, le entrò dentro in attimo, come un fulmine.


Una campanella suonò, Freia si accorse d’aver vagato con la mente per tutta la prima ora...





III




Fissò per la terza volta il suo orologio, si guardò intorno scrutando fra i ragazzi che andavano e venivano nella larga strada fuori scuola, ma di Lucia non vi era ancora traccia.

Altre classi uscirono dal cancello e finalmente riconobbe il volto dell’amica, stava per chiamarla ma la voce rimase in gola.

Un ragazzo, moro e alto, le teneva il braccio attorno le spalle.

Lucia, sorridente, lo salutò con due veloci baci sulle guance e si incamminò verso di lei.

<< Eccoti qui >>

Freia si voltò, iniziando a passeggiare.

<< Freia... >>

Lucia la seguì fissando con insistenza il suo volto.

<< Perché fai cosi? >>

Continuò a camminare in silenzio, senza incrociare i suoi occhi.

Lucia sapeva il motivo di quel suo comportamento, era fin troppo chiaro dopo ciò che accade qualche mese prima: per poco la sempre calma Freia non era giunta alle mani con un ragazzo più grande che stava “corteggiando troppo” la piccola Lucia.

Quando erano sole qualche volta la chiamava così: “ piccola Lucia”. Suonava inaspettatamente bene dalla sua bocca, le due parole si conciliavano col tono un po’ malinconico della voce, unendosi alla sua personalità in un felice matrimonio anziché un aspettato divorzio.

<< Era solo un amico su. >>

<< Non ho detto nulla. >>

Diventava sempre di cattivo umore nel vederla con un ragazzo, per quanto illogico fosse e tentasse di reprimere ciò che sentiva, proprio non riusciva ad evitarlo. Tuttavia Lucia non glielo aveva mai rimproverato né le aveva mai chiesto la causa, e per ciò le era molto grata, dato che nemmeno lei stessa sapeva che rispondersi.

<< Oggi, fa niente se con un giorno di ritardo, si festeggiano i tuoi diciotto anni andandoti a comprare un bel regalo, quindi non puoi assolutamente tenere il broncio. Capito? >>

Tsè, guarda se una a diciotto anni devi sentirsi dire che ha messo il broncio.

<< Freia! >>

Finalmente volse lo sguardo verso Lucia.

<< Adesso sei maggiorenne, non fare la bambina >>

<< Da che pulpito... >>

<< Che vorresti dire? Ormai ho sedici anni >>


La città scorreva ad ogni loro passo mostrandosi in tutto lo splendore di macchine impantanate nel traffico e pedoni senza volto. I negozi non erano molti sul corso che stavano traversando e l’ora di pranzo era ormai passata...

<< Allora? Dove intendi andare per questo “regalo super adatto a me”, qui vicino che io ricordi non c’è nessuno che venda qualcosa d’interessante. >>

Freia abitava in una zona periferica della città, poco distante da Lucia, ma quest’ultima conosceva molto meglio strade, vicoli e venditori.

Cacciò il piccolo portafoglio a sacchetto rosso, dentro vi contò una banconota da cinquanta e tre da venti euro.

<< L-Lucia? No! >>

<< Sono soldi miei e ci posso fare quello che voglio poi... sono così pochi per un regalo... >>

<< Non esiste,  non vorrai mica spenderli tutti? È denaro che i tuoi parenti ti hanno regalato, non sarebbe giusto e mi basta >>

<< Eccolo! >>

Non pareva nemmeno ascoltarla.

Sospirò, una placida sensazione di serenità, gioia e impazienza le stava colmando i pensieri. Nonostante sapesse che Lucia non avrebbe dimenticato il suo compleanno, era più felice di quanto si aspettasse.

Si avvicinò alla vetrina contro cui era corsa l'amica.

<< Mi basta il tuo pensiero >> mormorò, a metà fra imbarazzo e vergogna.

<< C'è ancora... aspettami qui e non entrare assolutamente >>

<< Ti ho detto che non c'è bisogno, si può sapere perché insisti tanto? >>

Il suo sguardo si perse un attimo nel riflesso del vetro.

<< Sai... nemmeno a me piacciano i compleanni, su questo siamo simili. Però... se è per te, è diverso. Voglio regalarti qualcosa che ti piaccia davvero, qualcosa di bello. >>

Rimase immobile a fissarla, senza più dire una parola. Lucia entrò e Freia portò lo sguardo sugli articoli in mostra.

Lucia... ma da che mondo provieni?

Ti invidio... invidio tanto la tua semplicità.... come fai a dire così ciò che provi? Per me... è difficile.

Non ricordo più quante volte hai detto di volermi bene, parlandomi serena senza imbarazzo. Ogni volta avrei voluto risponderti ti voglio bene anch'io... ma non l'ho mai fatto.

Ci conosciamo da pochi anni, eppure prima di te c’è il nulla.

Lucia...

Sono sicura che un giorno dovrò parlarti chiaramente di quello che sento, quello che provo quando all'improvviso mi tieni per mano, quando mi abbracci, quando sorridi, quando parliamo, quando quelle volte che insiti perché  passi la notte a casa tua e riposi a un pugno d'aria da me. Sono sicura che un giorno dovrò descriverti quell'infame voglia di stringerti di più, di accarezzare la tua pelle nuda di calda porcellana, di portarti via e con un lungo, dolce e onirico bacio averti solo per me.

Ho vissuto troppo a lungo per non sapere di cosa questo è il sintomo; ho respirato abbastanza del mondo per non conoscerne l'amaro pregiudizio.

Prometto che un giorno tirerò fuori dinnanzi i tuoi occhi ogni mia emozione e allo stesso modo prometto che ad un tuo cenno, se vorrai, le ricaccerò nei meandri più bui della mia anima. Combattendoci sola.


Era davanti una gioielleria, una di quelle in cui entra solo chi ha una o più carte di credito. Osservando gli oggettini scintillani in vetrina non capiva come potessero piacere tanto. Una volta sentì dire ad un'anziana signora che se il cane è il miglior amico del uomo, il gioiello è il miglior amico della donna. Ancora non capiva il senso di quella frase, se proprio si avevano soldi in abbondanza c'erano modi migliori e più piacevoli di spenderli.

Ogni cosa in quella vetrina costava più del  relativamente misero gruzzolo di Lucia, tranne una che non aveva il cartellino con il prezzo. Rimase stupida.

Era davvero bella, provò istantaneamente il desiderio di averla fra le mani solo per mirarla più attentamente. Era una sottile catenina argentata con una piccola freccia come ciondolo.  La coda e lo stelo del dardo in miniatura erano d'oro bianco e la punta, incastonata finemente con abilità magistrale, era costituita da un diamante appuntito.

Al solo pensiero che Lucia potesse regalarle qualcosa di simile la frase dell'anziana assunse un chiaro significato.

Poco dopo la ragazza uscì dal negozio con un espressione affranta e sconsolata.

<< Sei la solita, davvero speravi che bastasse così poco ? >>

Pareva stesse per scoppiare in lacrime come una bimba a cui è stato negato un giocattolo.

<< Perché proprio un gioiello? >>

<< Vidi... vidi quella collana qualche giorno fa >> disse puntando la stessa collana che aveva osservato Freia << sapevo ti sarebbe piaciuta, infondo ti ho conosciuta mentre tiravi con l'arco... ma non pensavo fosse così cara... >>

<< È pur sempre un gioiello, e dei gioielli si può fare a meno. Se proprio vuoi regalarmi una freccia, preferirei qualcuna da poter usare... >>


Quel pomeriggio il campo incolto, l'erba verde che un contadino vicino taglia ogni tanto per togliere posto alle serpi e il vecchio salice che da tempo conosceva l'abilità di Freia, rimasero insolitamente soli.

Lei e Lucia dovettero camminare un po' per raggiungere l'arceria che il signor Fernandez frequentava e lì comprarono un singolare regalo.


Il giorno dopo, quando le lancette avevano passato le sei e il sole di giugno era meno caldo, Freia tendeva la corda dell'arco con un dardo bianco latte dalle piume dorate e Lucia, distesa sull'erba, l'osservava tra un messaggio e uno squillo del cellulare.





IV




Era una calda domenica mattina in una piazzetta della città, ancora l’aria riposava senza alcuna vibrazione fastidiosa. Quattro panchine dalla stanca vernice verde confinavano con altrettante aiuole.  Seduta su una di esse quel giorno e in quell'instante Freia aveva finalmente adempiuto alla promessa che si era fatta quasi un anno prima.

<< Ci vediamo oggi pomeriggio... Freia... >>

I suoi occhi la seguirono fin dentro la portiera dell’auto un po’ malandata del padre.

Prima di salutarla,  Lucia le aveva urlato contro come mai prima.

Era colpa sua e lo sapeva, aveva ceduto, all'improvviso, senza rendersene conto. Al desiderio quel giorno si era mischiata la rabbia e la paura, le aveva detto d’aver trovato un ragazzo e che la sera prima si erano dichiarati. Aveva detto che era un bravo ragazzo, aveva detto che lo amava...aveva detto troppo.

Al verbo amore - si, quando le labbra di Lucia avevano coniugato quel verbo - aveva ceduto, si era lasciata dominare da ciò che le scalpitava dentro come una belva e ora, già ne era pentita.

Si pentiva di averla stretta e intrappolata fra le sue braccia, di essersi riflessa in quegli occhi che tanto sognava e di aver unito le labbra alle sue, si pentiva di averla baciata con forza, passione, foga e sentimento.

Era pentita dell’amore che aveva lasciato uscire dalla lurida prigione impantanata che stava diventando la sua anima. Aveva ignorato per cosi tanto se stessa che è bastato un soffio di vento a far cadere la sua maschera, all'improvviso.

Era pentita... Ma rassegnata.


Il pomeriggio giunse lento, Lucia aveva detto che sarebbe venuta a casa sua.

Il tempo passava ma nessuno bussava a quella porta solitaria.

Sola, abbandonata sul letto, non riusciva nemmeno a versare una sola lacrima. Aveva rifiutato il pranzo e si era chiusa in camera, aggrappandosi alla speranza di rivederla come unico filo sul baratro del rimorso.

Nella mente echeggiavano le parole che gli aveva detto, quel Lasciami gridato con terrore. Era straziata dalle lacrime di Lucia, l’aveva spaventata, terrorizzata in maniera anormale.

Davvero... Sono stata così orrenda? Ho fatto qualcosa di così sbagliato?

Le sei, le sette, le otto... nulla, silenzio... poi un suono, il campanello trillò. Scattò e aprì la porta.  

Delusa realizzò che era l’orario in cui sua madre rincasava da lavoro.

Vicino l’ingresso era posato il suo arco e la faretra con tre frecce. Fissò il dardo bianco e prese la sua decisione. Doveva andare da lei, doveva vederla, non potevano dividersi così, non avrebbe retto una sola notte in quello stato.

Con una scusa inventata al momento uscì di casa, poco più di dieci minuti distava l’abitazione di Lucia. Portò con se l’arco e la faretra, portò con se quella freccia bianca e un presentimento senza radici logiche che piano gelava il sangue nelle vene.

Quando arrivò alla villetta di periferia, divisa in due piani, la signora del primo piano le aprì i portoni scendendo, poté salire cauta i pochi gradini che portavano all'appartamento di Lucia.

Ormai aveva ghiaccio nelle vene, ad ogni battito provava dolore. Forse era la paura d’essere rifiutata, d’aver perso l’unica persona di cui le importava più di se stessa, di non poter più nemmeno parlare con l’incarnazione del suo desiderio più grande.

Forse... o forse no.

La porta era chiusa male, spinse la maniglia e senza cigolii vide il buio dell’ingresso che conosceva bene.

Stava per aprir bocca e chiedere il permesso ma qualcosa la bloccò. Un urlo mozzato, dei gemiti sommessi e una voce familiare che imprecò.

Mosse un passo dentro casa, verso la camera da letto, i gemiti si fecero più forti. Udì un altro urlo represso, distinse la voce di Lucia. Era tutto buio nel corridoio e l’androne solo una fioca luce proveniva da una stanza infondo alla casa.

Ancora gemiti, Freia era paralizzata e confusa, si udì il rumore di un pesante schiaffo e i singhiozzi di un pianto.

Solo al pianto Freia corse nella stanza da letto e vide ciò che mai avrebbe voluto vedere.

Dalla soglia della porta indietreggiò di qualche passo, gli occhi sgranati all'inverosimile e le labbra deturpate in una smorfia orribile.

L’uomo chino su Lucia si voltò verso di lei, a quello sguardo tutto nel suo corpo s’incrinò ancora.

Si alzò dal materasso su cui aveva costretto la stessa figlia, che giaceva con i vestiti strappati, il naso sanguinante e gli occhi pieni di lacrime, vuoti di luce.

Lo vide avvicinarsi barcollante e minaccioso, sentì la puzza dell’alcool saturare l’aria e il putrido veleno della paura insinuarsi in lei.

<< N-non ti avvicinare >> mormorò con voce inferma.

Il terrore la paralizzava, sentiva gli occhi di Lucia inerme su di lei, non riuscì a muovere un passo finché non sentì l’alito fetido di quell'uomo  a pochi centimetri da lei.

<< Freia... Va via Freia... Scappa.... >>

Fu colpita da un pugno al volto, tanto violento da gettarla sul pavimento. Il legno dell’arco che portava legato alla schiena quasi le bucava la pelle assieme alla faretra.

Si rialzò quasi subito, correndo  dall'altra parte del corridoio lungo circa sei metri.

Tremante prese l’arma, quello strumento che quando aveva paura si portava dietro come fosse un talismano, un porta fortuna. Incoccò una freccia e la puntò alla figura che adagio camminava verso di lei.

<< Tu... si tu... io conosco le persone come te, le conosco bene. Come non potrei? Tu sei proprio come me. >>

<< Sei un mostro... Come puoi pensare che io sia come te? >> sibilò, sentendo le ceneri della sua anima che stava bruciando dalla paura risorgere, risorgere come qualcosa di più.

<< Volevi farti mia figlia nella piazza, ti ho vista sta mattina. >>

Le sanguinava la bocca, a stento riusciva a muoverla per parlare.

<< Se vuoi puoi andare,  io tanto ha gia fatto. >>

La risata di quell'uomo le irruppe nella testa, all'orrido terrore per ciò che stava accadendo seguì una fenice di pura rabbia, che le fermò le mani e ridiede forza alle braccia.

<< Non perdonerò... non perdonerò ciò che hai fatto a Lucia... >>

<< Andiamo, avevo solo bisogno di un po’ d’amore >>

Il rumore della punta che penetrava la carne durò un attimo, poi un urlo di dolore trapassò tutte le mura del palazzo.

Prese la seconda freccia dalla faretra e la scagliò, conficcandola nel petto accanto alla prima.

L’uomo cadde, urlando ancora a pieni polmoni.

Freia prese l’ultima freccia, il dardo bianco, il regalo di Lucia, l’oggetto più caro che aveva. Tese l’arco con tutta la forza in corpo e lo lasciò andare.


Una donna e due uomini salirono attirati dalle urla, trovarono un corpo circondato da uno scuro rosso cremisi con tre frecce nel torace e due ragazze.

Stavano l’una nelle braccia dell’altra, Lucia pareva dormire mentre Freia le accarezzava i lunghi capelli dorati. Era pallida, ma un sorriso gentile e materno colorava solo le sue labbra.






V




<< Hai una visita >>

Freia uscì dalla cella.

Una ragazza le corse incontro sfuggendo alla guardia che la scortava e cadendole fra le braccia.

Freia perse quel poco di fiato che le era rimasto e fu baciata come fosse l’ultimo desiderio prima di morire.

<< Ti amo anch'io Freia... Ti amo tantissimo. >>

L’eternità in quella prigione divenne leggera, una manciata di candide piume.







Edited by Frenki931 - 6/5/2013, 09:27
 
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Darkangel86
CAT_IMG Posted on 5/5/2013, 22:43     +1   +1   -1




Bellissima questa storia e anche il finale molto bello.Bravo complimenti! :lol:
 
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Frenki931
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 08:11     +1   -1




Grazie, mi fa davvero molto piacere sapere che ti piace ^^
 
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Darkangel86
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 08:14     +1   -1




Ma finisce cosi oh ce un continuo?
 
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Frenki931
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 08:20     +1   -1




Purtroppo ho scritto questa storia solo per il concorso, pensandola come racconto unico. Però non è detto che non possa continuarla un giorno.
 
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Darkangel86
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 08:29     +1   -1




cioe era x curiosità,ma gia cosi e buono la storia che c'e e forte e d'impatto specialmente il pezzo dove freia scaglia le frecce al padre di lucia e scritto nei dettagli bello alla fine si rincontrano almeno.
 
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|_Tatus_|
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 13:32     +1   +1   -1




Bellissima storia ^^
 
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Frenki931
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 15:10     +1   -1




Grazie ^^
 
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|_Tatus_|
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 15:16     +1   +1   -1




Se hai la fantasia per continuarla ti faccio un monumento xD
 
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Shizuma93
CAT_IMG Posted on 6/5/2013, 20:50     +1   +1   -1




Molto bella davvero,sia come one shot che come posibile primo capitolo.
Bravo!
 
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9 replies since 5/5/2013, 08:28   134 views
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